4 Novembre, il discorso del presidente Manghi

In occasione della Festa delle Forze Armate e dell'Unità nazionale

Porgo il mio saluto e quello della Provincia e dei Comuni del territorio di Reggio Emilia alle autorità e ai cittadini presenti in questa piazza per celebrare l’Unità Nazionale e le Forze Armate e rendere omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita per la sicurezza e la pace del nostro e di altri Paesi. 

Un saluto particolare lo rivolgo agli studenti dell’Istituto comprensivo Leonardo Da Vinci e a tutti i ragazzi rappresentati dalla Consulta Giovanile per essere qui con noi ad affermare quei valori di democrazia, solidarietà e sacrificio che sono alle base della nostra Unità Nazionale e rappresentano i punti di riferimento delle nostre Forze Armate. Sono gli stessi ideali che animarono la nostra Resistenza, la quale ebbe come protagonisti i partigiani, a dieci dei quali oggi viene consegnata la Medaglia della Liberazione. 

Ecco, vedere stamani in questa piazza, insieme, le istituzioni, che qui a Reggio Emilia hanno sempre dimostrato di sapere collaborare per il bene comune, i partigiani che ci hanno donato la libertà e la democrazia, le Forze Armate che le difendono e le giovani generazioni che sono chiamate a garantirle anche in futuro al nostro Paese, credo sia una felice rappresentazione di come noi reggiani, cittadini della culla del Primo Tricolore, possiamo custodire e rinnovare l’Unità del Paese. 

Nel centesimo anniversario di quel 1915 in cui l’Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale – di cui oggi celebriamo la ricorrenza della conclusione vittoriosa – la giornata del 4 Novembre assume un significato ancor più profondo e attuale. 

È infatti nel ricordo delle sofferenze, per quanti scomparvero e quanti dovettero piangere i propri cari, che dobbiamo orientare il nostro agire esclusivamente alla ricerca della pace, attualizzando nell’impegno quotidiano quanto ci è tramandato dalla storia del nostro Paese. Questa sfida, una delle più grandi dell’attualità, comporta un supplemento di riflessione e di elaborazione cui tutti siamo chiamati. 

Ad esempio, la stessa Carta costituzionale italiana che, in particolare qui a Reggio e in Emilia, continua a rappresentare una pietra angolare imprescindibile per il nostro pensare ed il nostro agire quotidiano, facendo propria con l’art. 11 una lezione importante dal nostro passato, ci impegna a ripudiare “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie”. La stessa Costituzione, al contempo, ci richiama nel medesimo articolo ad impegnarci per “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, ma ci ricorda, all’articolo 52, che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. 

Il contestuale riferimento a diversi commi dell’articolo 11 e all’articolo 52, serve ad affermare che a fianco della negazione della guerra quale fattore risolutivo come obiettivo fondamentale da perseguire non possiamo ignorare come il mondo manifesti tensioni e instabilità crescenti. E come si stiano affermando nuove e sempre più aggressive forme di estremismo e di fanatismo che rischiano di investire anche l’Europa, e l’Italia. È una minaccia reale, anche militare, su cui, insieme all’Unione Europea, occorre vigilare con grande attenzione per essere pronti a prevenire e a tutelare la comunità. Agendo in situazioni di crisi con interventi concertati a livello internazionale e con strumenti molteplici – compresa appunto una nostra presenza militare – infatti possiamo proteggere l’Italia e l’Europa ed il diritto a vivere nella sicurezza e nella libertà per noi e non solo per noi. 

Celebrando il 4 Novembre, dunque, noi festeggiamo le nostre Forze Armate quale fondamentale elemento di difesa della patria e della pace e di tutela dei diritti umani, anche in terre lontane, là dove popoli oppressi vedono nel nostro Esercito una garanzia di sicurezza e di affermazione dei più elementari diritti civili, troppo spesso ancora negati. Perché, va detto convintamente, non esiste garanzia di pace fuori della giustizia. 

Anche le nostre Forze Armate – non dobbiamo dimenticarlo – perseguono quel profondo desiderio di pace che, nelle forme più diverse, esprime la nostra società attraverso gruppi, movimenti, associazioni, singoli cittadini – laici e religiosi – e qui a Reggio Emilia, ormai da dieci anni, anche attraverso una Scuola di pace. 

Non possiamo dimenticare i tanti e fondamentali aiuti che proprio i nostri militari, in primo luogo in servizio nelle forze di Marina, hanno assicurato ai migranti in occasione di tante emergenze profughi, a partire dalle operazioni Mare Nostrum e Triton.

Anche la concezione e la funzione stessa delle nostre Forze Armate si sono modificate nel tempo, pur tenendo sempre ben saldi i valori di senso di appartenenza, spirito di servizio e attaccamento al Paese. Non ci sono infatti, solo le missioni di peacekeeping o di interposizione all’estero, ma anche l’intensa e preziosa attività che viene svolta sul nostro territorio, per aiutare la popolazione in situazioni di crisi e calamità o assistere le forze dell’ordine per garantire legalità e sicurezza. Vale ancora per i nostri militari, è il caso di dirlo, il motto ciceroniano dell’esercito italiano «Salus Rei Publicae Suprema Lex Esto» (la sicurezza della Repubblica sia legge suprema)! 

Penso all’operazione Strade sicure avviata dal 2008 o alle tante emergenze e calamità che, anche qui in Emilia – dal terremoto del 2012 all’alluvione di poche settimane fa nel Piacentino, con i militari del 2° reggimento Genio Pontieri intervenuti a soccorrere la popolazione – hanno visto le nostre Forze Armate confermarsi una risorsa fondamentale a disposizione di tutta la comunità. Portando nelle nostre vie, nelle nostre case, tra la nostra gente, quello di cui oggi abbiamo un grande bisogno: il percepito concreto di uno Stato credibile, efficiente, serio, operoso, giusto. 

E penso, infine, all’impegno della cooperazione italiana nella ricostruzione della città di Mostar, martoriata dalla guerra e il cui bellissimo e antico ponte – lo Stari Most – venne distrutto nel 1993 durante il conflitto, in quanto punto d’incontro tra due quartieri, quello musulmano-bosniaco e quello cattolico-croato, per il resto completamente divisi dal corso del fiume Neretva. 

Anche l’Esercito Italiano, con gli altri militari della forza multinazionale della Nato dispiegata in Bosnia e Erzegovina, contribuì nel 1997 a recuperare nel fiume ciò che restava del ponte, per consentirne poi la ricostruzione nel 2004 sotto l’egida dell’Unesco. 

Ecco, il mio auspicio è che le Forze Armate possano sempre più essere chiamate a costruire ponti fra i popoli per restituire la speranza a chi l’ha persa e sempre meno, come accadde cento anni fa, per toglierla a una intera generazione. 

Viva l’Unità dell’Italia dentro l’Unità dell’Europa! 

Viva le Forze Armate italiane al servizio della pace! 

 

Giammaria Manghi 

Presidente della Provincia di Reggio Emilia 

Pubblicato: 04 Novembre 2015